La mia infermiera… la mia biografa
Olio sulla fronte: una goccia continua scende lenta al centro, ai lati, e di nuovo al centro della fronte.
Gli occhi si chiudono, le membra si rilassano, la mente naviga verso mondi ignoti che, seppur non ricercati si spalancano alle verità dell’esistenza del qui ed ora.
Dapprima appare una ragazza indiana dai lunghi capelli neri, lisci che prega in ginocchio, con la schiena distesa davanti ad una statua si dea.
E’ una statua molto alta , molto grande, con innumerevoli braccia.
Gli occhi sovrastano il viso tratteggiata da kajal nero. Sono intensi: non li avevo mai visti prima.
Improvvisamente le braccia di alcuni uomini la strappano dalla preghiera, la strattonano e lei non vuole andare.
La scena si spegne avvolta dalle tenebre di un nero intenso.
Assaporo la calma che si fa sempre più estesa: è una bella sensazione vitale alle soglie di un importante appuntamento finalizzato a ripristinare il completo stato di salute.
Si fa strada una ragazza vestita di poche cose. La strattonano, la allontanano dai suoi cari.
Ora è legata vicino ad una tenda indiana: Nessuno le dà da bere e mangiare. E’ stanca, ma non chiede. Il suo cuore è compreso da un’altra donna che sgrida fortemente quel fratello che l’ha voluta prendere neanche tanto per il sottile.
Si avvicina in preda al desiderio dei sensi e la piglia così: con la violenza della passione.
La situazione muta.
Alla fine la ragazza accetta il nuovo rapporto, sostenuta anche dall’amicizia con la sorella dell’uomo che l’ama. E’ un’intesa di reciprocità femminile che talvolta esclude questo giovane irruento e passionale con un’importante ruolo nella tribù.
Si vive la natura con i giochi dell’acqua dell’estate calda e con i fiocchi di neve che cadono cospicui sull’accampamento.
E poi la fine: un animale di media taglia la attacca, la uccide con le sue ampie corna.
Un grande falò accoglie il suo corpo, restituito alla natura con lo stesso fuoco di passione che l’ha generata.
Tutto intorno è armonia. Un amore nato con la forza si è esteso e si è sviluppato con la gioia dell’accettazione e della contemplazione per un corpo così maschile e diverso da sé.
Peccato essersene andata così giovane.