CHAN KANTHUN
All’inizio mi sono vista da piccola, una sera a casa all’arrivo di mio papà dal lavoro, prima di mangiare. Mio papà chiede a mia mamma se sono stata brava e lei gli dice di sì e poi si va a mangiare il risotto giallo. E’ mercoledì sera intorno alle 8.30. Poi si va a letto e io sono nel mio letto da sola e non sto bene perché ho paura, ho paura del buio. Nel buio sento che mi soffiano in faccio, sento l’aria. Mi trovo al buio, sola, seduta nel fango, l’aria è umida, stagnante. E’ una sorta di cella, arrivano voci chiassose dall’esterno, voci di bimbi e di persone. Io sono al buio. Si sente lo scroscio del mare in lontananza. C’è buio, tranne degli spiragli di luce che arrivano da delle feritoie e dall’intercapedine della porta. Sono per strada e sto camminando per una stradina medievale stretta, lastricata di pietra. C’è tanta gente, arrivano dei soldati a cavalli e mi legano le mani dietro alla schiena e mi trascinano per strada. Sbatto con le gambe e le braccia contro i muri, mi fanno male. La gente guarda, ma non fa nulla. Mi guardano male, io rappresento la ribelle che non rispetta la legge e devo essere punita, perché oso ragionare con la mia testa e non piegarmi ai potenti. E poi si apre la porta della cella e vengo spinta dentro e cado nel fango. Poi sono bendata, le mani legate dietro alla schiena e mi accusano. La voce è dura e cattiva, ma non capisco di cosa sono accusata. So che vengo condannata. Sono sull’alto del castello bendata e legata. Ad un certo punto mi vedo dall’esterno: ho un lungo camice bianco. Mi gettano dalle mura nel mare. Sento l’aria sulla faccia mentre cado, la sensazione del vuoto e poi il tonfo nell’acqua e vado a fondo. Provo tristezza e rabbia perché non è giusto, non è giusto che finisca così. E piango, perché sono tristissima, perché volevo vivere ancora, ma mi hanno strappato la mia vita. L’insegnamento non è bello, gli uomini sono pieni di odio e il loro odio provoca sofferenza. Poi c’è luce e vedo come un monaco con una tunica rossa. E’ vecchio, eppure ha il volto tranquillo di un bambino. E’ sereno. Cammina nella natura appoggiato al suo bastone e si sente in pace con se stesso. E’ lontano dagli uomini, ha voluto allontanarsene. Ha scelto la solitudine per vivere in contattato con la natura, per imparare i suoi insegnamenti. Si chiama Chan Kanthun (o qualcosa di simile). Non c’è nessun monastero, lui sta nella natura da solo. I suoi mantra sono profondi e risuonano dentro, nella pancia. La natura gli insegna a gioire delle cose semplici che poi sono le cose vere e autentiche della vita: il rosso di un tramonto, il canto di un ruscello, il tepore del sole. La verità non è quella che chi ha il potere ci vuole imporre, la verità va cercata dentro e fuori di noi. Chi ha il potere vuole soggiogarci mantenendoci nell’ignoranza. Poi il vecchio è sdraiato nel letto della sua casetta di legno. Le forze gli vengono piano piano meno, ma lui è sereno, perché sa che è giusto e che è giunto il suo momento. Il suo spirito, come una sorta di nuvoletta si solleva da lui e poi si dissipa sfumandosi nell’aria. E’ tornato a fare parte del tutto. Non ci sono persone accanto a lui, ma solo la natura e gli animali fuori dalla casetta. Un gatto nero in particolare. Il suo corpo sarà scoperto da un bambino, seguito da un adulto, forse il padre. Ma il bambino si spaventa perché il corpo è già in parte putrefatto. Il saggio sa che dovrà tornare fra gli uomini per comunicare il suo messaggio, ma ha paura di tornare fra gli uomini, ha paura del loro odio e della loro cattiveria. E poi sono un albero nel folto di una foresta bellissima. Un bosco intricato. C’è umidità e buio, ma la luce riesce a penetrare attraverso le foglie. La vegetazione è bellissima. C’è una piccola cascata, e poi un ruscello di acqua limpida e cristallina. E’ bellissimo. E’ bellissimo perché l’uomo non è ancora riuscito a penetrarvi. E a distruggere. Perché l’uomo distrugge, distrugge tutto ciò che è bello. Perché ciò che è bello lo ritiene essere un peccato e quindi deve essere punito. Ma non è così. Non è questa la verità. Questa è la falsità che insegnano quelli che detengono il potere. Sento un odio fortissimo verso la Chiesa. In realtà l’ho sempre provato senza potermene dare mai una ragione reale. Sento la sofferenza, il dolore che la Chiesa ha causato ingiustamente per secoli in nome della propria verità. Poi vedo una catasta di legno in mezzo ad una piazza. Sembra una piazza contornata da edifici fiamminghi, è piccola. C’è un ragazzo sulla gogna. Le mani e la testa sono bloccati dallo strumento di tortura. Sul palco sopra di lui stanno accatastando altra legna per la pira, per il rogo. Lui mi guarda, io sono lì tra il pubblico. Lui è il mio ragazzo, la mia anima gemella. Lo so, lo sento. E’ io sono impotente, piena di rabbia. Vorrei fare una strage, vorrei salire sull’impalcatura e uccidere tutti, vorrei liberarlo. I suoi occhi mi guardano e io piango, non ce la faccio, non riesco a sostenere il suo sguardo. So che da lì a poco accenderanno un fuoco. Scappo non ce la faccio. E mi sento in colpa. E giuro vendetta, giuro che me la pagheranno. Lo giuro con tutta me stessa. E piango, piango per la disperazione. E provo odio, tanto, tantissimo odio. E poi sono un uomo molto potente. Seduto ad una scrivania nell’ombra o nella penombra. Ho in mano un pennino stile 1800, di quelli che sono fatti da una piuma e si intingono nell’inchiostro. Un inchiostro blu. Scrivo su una pergamena ingiallita. La stanza è ricoperta da armadi di legno antico che portano libri antichissimi, molti relegati a mano. Sono contornato da uomini in piedi vestiti di scuro. Io credo di essere il più potente fra loro. E scrivo. La mia scrittura è obliqua, da sinistra verso destra. E’ una calligrafia simile alla mia di ora, ma molto più bella. Non capisco cosa sto scrivendo, ma so che è un giuramento. Lo firmo. Non riesco a capire il mio nome dalla firma. Arrotolo con cura la pergamena e la sigillo con la cera lacca e la timbro con il mio anello. Gli uomini sono tutti in silenzio. Siamo legati tutti profondamente da un obiettivo comune: fare giustizia. Mi alzo e gli uomini si avvicinano attorno a me e impugnano la pergamena. E’ un giuramento e io ho la certezza che quel giuramento avrà delle ripercussioni sul futuro. E tremo. Sono un fascio di nervi. Sento il gelo e tremo. E poi rivedo di nuovo il monaco. Il suo insegnamento che sta nel conoscere se stessi. Bisogna portare il vero insegnamento fra gli uomini, che è sapere entrare in armonia con la natura e tornare ad emozionarci per le cose semplici. E’ questo il vero insegnamento: l’armonia. Non ha senso rispondere all’odio con altro odio. E lui è sereno, pacifico. Ha raggiunto una serenità tale da non essere più scosso dalle passioni che scuotono gli uomini come il dolore, la rabbia e l’odio.