Ritrovarsi
LA MIA PRIMA REGRESSIONE
Venerdì 21 novembre 2014 ore 17.30
Arrivo emozionatissima e carica di aspettative da Carla. Ad attendermi, occhi brillanti e gentili, Leonardo, quest’anima antica che ho avuto il privilegio di incontrare solo un paio di mesi fa’, ma è come se la conoscessi da sempre.
Vengo accolta in uno studio caldo e che profuma d’incenso: per un attimo mi sento fuori posto, ma la sensazione lascia subito il posto alla voglia di tuffarmi in questa nuova esperienza.
Inizia il rituale di rilassamento e di regressione, divento sempre più pesante e la mente si svuota, ascolto la voce di Leonardo che con delicatezza mi accompagna e immagini velocissime si affollano nella mia mente, alcune anticipando già tratti della storia che mi appresto a ri-vivere.
Vedo un paio di scarpette rosse, non lucide, con un cinturino. Leonardo mi invita a guardare come sono vestita – indosso un abitino azzurro – e dove mi trovo. Sono in un cortile, davanti a me vedo una casetta, muro in cemento, due piccole finestre con le inferriate e una luce fioca provenire dall’interno. Entro, sulla destra vedo un piccolo letto singolo, dentro una bambina con la sua mamma, malata. Il marito è via e loro sono sole. La madre non riesce a prendersi cura della piccola e chiede a me di farlo, nel caso le dovesse succedere qualcosa. Sento un’enorme tristezza inondarmi il cuore: non posso sottrarmi a questo compito, perché provo compassione per quella bimba. Come lei, che potrebbe perdere la sua mamma da un momento all’altro, anche io sono stata abbandonata. Ma non in senso fisico. Non sono stata voluta. Volo al passato di quella ragazzina con le scarpette rosse e la vedo bambina, un anno, forse un anno e mezzo, giocare per terra, svestita e sporca, senza nessuno che si curi di lei, l’assenza della madre che si vede solo di schiena è quasi palpabile.
Poi cosa succede a quella bambina sul pavimento?
E’ cresciuta, adesso è in un ospedale gestito da suore, è diventata un medico, uno dei primi medici donna. E’ stimata per il suo lavoro, ma combatte quotidianamente per dimostrare il proprio valore professionale in un mondo di uomini. Oggi è il 15 dicembre, è un giorno molto importante: qualcuno di potente deve venire a far visita all’ospedale. Siamo in Francia, perché sento le sorelle parlare francese. A un certo punto si materializza un capannello di prelati vestiti con tuniche rosso porpora e oro, in velluto. Davanti a loro un prete vestito di nero, non un semplice prete di campagna, mi porge la mano e mi da’ una carezza sul viso. In quel gesto sento la comprensione del padre che non ho mai conosciuto, in quegli occhi riconosco quelli di Leonardo. Ecco, è una conferma del mio valore.
Mi soffermo a osservare le tuniche porpora degli ecclesiastici dietro di lui e queste mi portano indietro nel tempo, a Parigi, nel diciottesimo secolo. Sento affiorare una fortissima sensazione di disprezzo per la corruzione di una classe dirigente – politica ed ecclesiastica – viziosa e mi ritrovo per strada, dove vedo un ragazzino di 10-12 anni forse – coi vestiti strappati. E’ povertà allo stato puro, la gente muore lungo le vie, c’è una puzza rivoltante e aria di rivolta. Io sono su una carrozza che cerca di farsi spazio tra i poveri ormai armati di bastoni. Sono ancora una donna, nobile e imbellettata, riesco a farmi strada tra la folla e a salvarmi. Credo volessero uccidermi.
Adesso vedo un paesaggio di campagna, erba verde spettinata dal vento e cielo blu. Una chiesetta con un campanile bianco. Respiro serenità e fiducia. Vedo delle mani grandi e forti, delle braccia muscolose e abbronzate: questa volta sono un uomo. Sto trasportando delle pietre dentro una carriola di legno. Conduco una vita semplice, ma sono felice. Vedo la mia famiglia: ho una moglie e un figlio di 4, forse 5 anni. La nostra è una comunità rurale: si vive dei frutti della terra e del proprio lavoro, c’è amore nell’aria. Sono sereno, sento che nulla mi manca in questo momento e che non potrei volere nulla di più. A un certo punto però qualcuno ci assale e veniamo tutti chiusi dentro la Chiesa. Il portone è sbarrato e il fuoco appiccato al campanile. Vogliono farci bruciare. Abbraccio mio figlio e mia moglie, vedo il terrore nei loro occhi. Sento le lacrime scorrermi sul viso – anche nel presente – : non posso far niente per salvarli, non posso far niente per proteggerli, mi sento impotente di fronte allo svolgersi degli eventi. Abbandono il corpo e salgo in alto, oltre il campanile, sono nel blu del cielo, in mezzo alle stelle. Mi sembra di percepire un ordine superiore, mi sembra di capire che l’amore tenga insieme questa incredibile volta celeste, niente altro ha veramente importanza: solo vivere con amore. Possiamo dare un nome e una faccia differente a questo principio, Cristo, Buddha, ecc… ma la sostanza non cambia.
Accompagnata dalla voce di Leonardo torno ancora indietro e questa volta vedo un vassoio dorato e decorato a motivi geometrici con inserti argento. Vedo rosso, è sangue, una testa tagliata, è quella di Giovanni Battista. Io sono l’ancella che sorregge il vassoio e lo sta portando al Re. Io sono parte responsabile del tradimento verso quest’uomo ormai morto e sento un dolore trafiggermi il cuore, come se solo ora, a cose fatte, mi rendessi conto della gravità del gesto di cui mi sono resa partecipe per affermare me stessa agli occhi dei potenti. Troppo tardi: una sorte non dissimile mi aspetta e vengo fatta uccidere – nella stessa modalità – crollando ai piedi del Re. Abbandono il corpo un’altra volta e mi ritrovo piccolissimo, un bambino, seduto per terra e vestito di pelle. Sento profumo di erba e di fuoco, il freddo della terra, una donna che viene verso di me e mi prende in braccio. E’ mia madre, questa volta però sono amato, desiderato, voluto.
Mi guardo intorno, vedo una capanna indiana fatta di pali e pelli, faccio parte di una tribù, il mio animale è l’orso. Sono cresciuto, adesso sono un ragazzino e mia madre mi dice che ci sono grandi progetti per me. Leonardo mi chiede a quale divinità ci affidiamo. Vedo ancora la volta celeste e un cavallo cavalcato da un uomo che indossa un copricapo di piume d’aquila bianche e nere, nel gesto di scoccare una freccia. Il cielo con tutte le sue costellazioni forma una cupola che protegge la nostra comunità, come in una bolla blu, tenendo lontane le guerre e le carestie. Cresco, sono un giovane uomo e mi vedo mentre cerco di scacciare i nemici. Un’epidemia colpisce la nostra gente, che inizia a morie, ma la vecchia sciamana del villaggio – nei cui occhi riconosco Carla – mi consegna un rimedio avvolto in un sacchettino di stoffa. Non riesco a vedere cosa succede dopo, perché vengo colpito alle spalle da una freccia nemica. Anche qui non posso negarmi a un grande insegnamento e comprendo il ciclo del’esistenza che ci vede tutti nascere, crescere, morire e tornare alla terra per rifiorire come l’erba, che viene mangiata dall’animale, che a sua volta viene ucciso dall’uomo per il proprio sostentamento, in un flusso che va oltre il tempo e lo spazio.
A questo punto Leonardo mi chiede se e dove avessi già incontrato Carla e questa volta mi vedo, ancora uomo, vestito di pelle di orso in riva a un fiume. Sono andato lì in contemplazione dello spirito che vive nell’acqua – Carla – depositario del sapere e della conoscenza, al quale noi uomini ci rivolgiamo per attingere alla saggezza vera. Di colpo vengo catapultata in un altro posto: adesso sono in India, continuo a vedere Carla. Questa volta è una statua che viene adorata dalla popolazione. Uomini e donne la onorano ornandola di bellissimi fiori colorati. Nel suo volto vedo sovrapporsi la testa di un elefante, è tutta dorata e indossa preziose collane. Le gambe nella posizione del loto e le mani aperte palmi in alto, con pollice e medio che si incontrano e un punto rosso disegnato al centro dei palmi. Emana rosso, emana energia vitale, è lo spirito della creatività e della creazione.
Adesso Leonardo mi invita a guardare come sarò da vecchia. Mi vedo seduta su una piccola sedia di paglia, capelli bianchi e attorniata da tre bei bambini, forse i miei nipoti o i miei bis-nipoti. Vedo anche i miei figli, felici e realizzati, sorridere intorno a me. Ritrovo Marco, l’amore della mia vita al mio fianco e sento di essere amata, proprio tanto, da tutti quelli che fan parte della mia storia.
-Qual è l’insegnamento che ne trai? – mi chiede Leonardo
“Che l’amore è l’unica cosa che conta, che sono amata e che forse avrei dovuto passare più tempo a vivere nell’amore, che a preoccuparmi costantemente che qualcosa di brutto e irrimediabile potesse/dovesse per forza accadere a me o alle persone che amo da un momento all’altro. Che quello che conta non è dove arrivi, ma il viaggio nel suo dipanarsi”. Le lacrime, questa volta di gioia, scorrono nuovamente sul mio viso.
Mi sembra ci sia già moltissima carne al fuoco, ma vorrei puntualizzare tre cose che mi hanno particolarmente colpito:
1 – da quando sono diventata mamma di Gabriele (quasi sei anni or sono) ho passato periodi veramente bruttissimi, schiacciata dalla sensazione, che era quasi una consapevolezza, che qualcosa di brutto, veramente tremendo, sarebbe successo ai miei figli e io non avrei potuto far niente per evitarlo. Con la nascita della mia Gaia queste sensazioni si sono acuite ancora di più, tanto da impedirmi per un lungo periodo di uscire di casa, terrorizzata dal fatto che avremmo potuto essere investite da un camion mentre attraversavamo la strada con il passeggino. (continuavo a rivedere questa scena come in un film dell’orrore) Contemporaneamente però mi sentivo al settimo cielo, come l’uomo della regressione: niente mancava più nella mia vita adesso che c’era anche lei, adesso che sentivo completa la mia famiglia, anche se avevo dovuto rinunciare a un lavoro che sicuramente mi poteva garantire maggiore indipendenza economica e qualche sfizio in più. Ho quindi capito che probabilmente mi sto portando dietro questa paura da allora: sono felice=adesso deve succedere per forza qualcosa di brutto e io non posso far niente per evitarlo.
2 – il mio bisogno di conferme da parte degli altri: come la giovane dottoressa e l’ancella ho sempre vissuto lo studio e il lavoro come momenti in cui era più importante sentirmi dire dagli altri quanto fossi brava, sbagliando completamente prospettiva. Questo mi ha sempre messo nella posizione di voler ottenere riconoscimenti da chiunque fosse più in alto di me, genitori, professori, datori di lavoro e mai di credere veramente in me stessa.
3 – La mia esperienza di ancella-traditrice pentita oggi mi rende insopportabile l’idea della disonestà e del raggiro, tanto che, pur essendo una persona abbastanza tollerante, la menzogna e tutto l’allegro corollario di situazioni che si porta dietro, sono state fino ad oggi una delle cose sulle quali proprio non transigo nel rapporto con una persona.
E adesso veniamo ai ringraziamenti, questi vorrei rimanessero in camera caritatis:
Caro Leo,
averti ri-trovato e ri-conosciuto è stata una delle cose più belle che mi siano successe da qualche anno a questa parte. Un po’ come il regalo di Natale inaspettato che trovi sotto l’albero e ormai non ci speravi più. Ovviamente devo ringraziare alche la nostra Carla, che, ormai è risaputo, è un catalizzatore per la “bella gente”. Grazie per tutto: per come mi hai accompagnato in questa meravigliosa esperienza, per la tua delicatezza e per tutte le volte in cui ci siamo incontrati prima e sicuramente mi avrai tolto qualche castagna dal fuoco. Sono felice che anche tu faccia parte della mia famiglia di anime, grazie a te credo riuscirò a sbloccare tanti insegnamenti necessari alla mia crescita spirituale… Se non altro l’inizio promette davvero bene!
Ti abbraccio fortissimo,
ti voglio bene,
F